Gigi Ghirotti

A fine del 2020 vengo contattato dall’Ufficio di Promozione della Fondazione Gigi Ghirotti Genova ETS. Dopo un doveroso iter amministrativo per l’incarico, avviamo il lavoro nell’estate dell’anno successivo, per concluderlo nel 2023. L’avventura con la Fondazione dura quindi quasi due anni; é un’esperienza significativa, sia umanamente che professionalmente, e – forse – merita di essere raccontata.

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La richiesta iniziale è il preventivo per una produzione molto semplice, si tratta di realizzare alcune interviste, a carattere di video testimonianze, come avevano già fatto altre associazioni che vogliano raccontarsi attraverso la viva voce degli utenti del loro servizio. Avrei dovuto mettere a disposizione una modesta capacità tecnica, unitamente alla giusta attrezzatura per illuminare i volti, registrare le voci e catturare dei primi piani.

Rifiuto e faccio una contro-proposta; il progetto dovrebbe essere lungo e curato, svolto in modo volontario e autoriale, ma soprattutto dovrebbe essere diverso l’approccio; niente luci puntate in faccia, nessun posizionamento di microfoni e predisposizioni di set.
Una chiacchierata spontanea, insomma. La presenza e il ruolo di Andrea, allora coordinatore dei volontari per l’assistenza domiciliare ed oggi anche membro del Cda, è da subito fondamentale.

Si procede quindi con un primo giro di incontri, pensato e proposto per poter parlare normalmente, scambiare esperienze, ed ascoltare la storia dei protagonisti di questo lavoro, i caregiver che hanno accompagnato i loro cari nelle fasi finali della malattia e quindi della vita. Durante questi incontri prendo molti appunti e li studio bene una volta tornato in studio. Cosa emerge dalle loro storie? Emozioni, personalità, carattere e caratteristiche di chi racconta e di chi non c’è più, ma anche le cose più semplici e quotidiane, come luoghi, oggetti, situazioni di routine.

Si delinea meglio l’obiettivo iniziale. Dobbiamo raccontare una storia a chi non conosce ancora la Ghirotti, dobbiamo parlare del percorso che la Fondazione fa insieme alla persona con malattia critica e la sua famiglia, dobbiamo fare cultura, diffondere conoscenza e consapevolezza per abbattere indifferenza e stereotipi.

Il secondo incontro con i 5 caregiver selezionati dalla Fondazione (molti sono rimasti anche stupiti dal fatto che non facessimo video prima) sarebbe avvenuto con la presenza di videocamera e un piccolo microfono, attrezzatura molto minimale e già preannunciata a ciascuno di loro all’incontro precedente. Si riprendono i contenuti già affrontati, con la stessa modalità della chiacchierata libera e con la sola accortezza, da parte mia e di Andrea, di far emergere le testimonianze più adatte al racconto che ci siamo prefissati di fare, senza nessuna censura ne omissione, cercando solo di “non andare fuori tema”.

Il girato è fatto. Le testimonianze di Donatella, Emilia, Federica, Gino e Roberto sono preziose, ma l’obiettivo resta lontano. Nonostante io abbia cercato di prepararmi leggendo libri e guardando video sulla Ghirotti e altre associazioni simili, sulle cure palliative e la terapia del dolore, mi rendo conto di dover fare un passo indietro e restare a fianco di un’altra persona che sappia creare la storia per raggiungere il nostro obiettivo. Mi viene in mente Federica, e dopo aver proposto questa collaborazione alla Fondazione, le propongo di entrare nel progetto ascoltando le 5 testimonianze e di svilupparlo trovando un filo conduttore comune alle testimonianze raccolte.

Matteo

Vengo coinvolta forse perché antropologa specializzata in antropologia della salute, forse per la mia visione poetica della relazionalità. Il progetto si configura subito come complesso, per la tematica, per la varietà dei punti di vista portati dai testimoni e, soprattutto per l’intensità emotiva di ogni volto, di ogni frase, di ogni concetto espresso. Ogni caregiver in poche parole, anche in quelle apparentemente più fredde, meno coinvolte, trasmetteva l’enorme potere di “risucchio” esercitato dal vortice di pensieri azioni, pre-occupazioni, pianificazioni … un’esperienza che per essere trasmessa così chiaramente, lucidamente, ha avuto bisogno di tempo, di spazio, di elaborazione emotiva…come poter dare a quelle storie di trasformazione individuale, familiare e collettiva il giusto spazio, la giusta dimensione, il giusto bilanciamento tra la vicenda personale e ciò che invece ci unisce come esseri viventi? Come poter far percepire a chi potrà ascoltare/leggere quelle esperienze i molti registri di esperibilità che ruotano incessantemente intorno al tema del fine vita e dell’innominabile morte?

L’espediente poetico e narrativo si é allora manifestato attraverso gli sfondi, i panorami di quelle interviste, che partecipano insieme a noi ad un ritmo e a ciclicità che ci sovrastano, che rendono la nostra esperienza un frammento di una più  grande avventura/storia: la natura con le sue stagioni.

Come guida e ispirazione mi affido senza esitazione alla sapienza dello  Yijing. Il celebre e stimato Classico dei mutamenti, risulta essere un’inestimabile fonte poetica e un’opera magistrale nella quale i ritmi del cielo-terra sono descritti e analizzati dettagliatamente come anche il tema della “relazionalità” nei suoi termini più ampi e archetipici e, allo stesso tempo, più dettagliati e quotidiani. Nello specifico, ispirandomi alle coordinate basilari indicate negli esagrammi associati ai 12 mesi dell’anno, ho potuto elaborare una proposta narrativa che ho condiviso e rivisitato con il mio compagno di viaggio Matteo.

Federica
(linkedinsito weblinktr.ee)

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